Orme zingare
tra città rupestri
annegano in cappuccini
serviti in tazze di vetro
attendendo di timbrare illusorie sicurezze
Di che pane han bisogno le mie scarpe lise?
Come si abbevererà il mio spirito dallo scolapasta dell’ego?
Il verde urbano sempre più assediato da piccioni e cartelloni
viene conquistato da chi
preferisce il silenzio degli alberi
e migranti condivisioni
ai distanziati indigeni parchi di umane parole
ai distanziati indigeni,
parchi di umane parole
Di quali silenzi mi voglio cibare?
Da quali suoni mi voglio far accarezzare?
L’acqua non sgorga più copiosa come prima
trionfante nei cuori grati di chi la cerca ammirato.
Bellezza muta smarrita e confusa
lungo la via di casa
tra i marciapiedi delle periferie dell’anima.
Sola a mendicar rifugio e conforto
ricercando sensibili autenticità.
Come posso essere orto d’amore?
Come posso liberare l’incatenato flusso creativo?
Felini occhi sornioni mi richiamano socchiusi all’evidenza.
Fiduciosa ciotola si riempie al miagolo richiamo.
Così semplice è la vita.
Così, la vita è semplice.