Leggendo Hillman si ha l’impressione che egli tratti la malattia come un rituale che ha lo scopo di ristabilire l’ordine universale, l’ordine primevo, riparando al danno generato dalle idee. Gli dei sono diventati malattie, ci insegna Hillman.
Nella cultura del potere l’uomo rifiuta di riconoscere le forze naturali.
Il re di Tebe nella Baccanti, nega a Dionisio il suo ruolo nell’Olimpo; il re di Creta, Minosse, rifiuta il sacrificio del toro bianco che Poseidone ha richiesto.
Dionisio e Poseidone sono le divinità di natura che l’uomo rifiuta di onorare a mezzo del sacrificio rituale.
La malattia viene ad essere l’eco di quel sacrificio che non è stato compiuto, essa ha lo scopo di ripristinare l’equilibrio fra corpo e mente, fra natura e ragione.
Non c’è, in verità, qualcosa da guarire, da cambiare, da migliorare, da analizzare semmai vi è un rito da celebrare in onore dell’anima.
L’anima è, come Persefone, regina dell’infero, il regno dell’invisibilità, degli avi, dei segni, della mancanza, del daimon, del doppio animale, dell’istinto, dell’ombra.
Un infero che è interiorità e profondità, ma che viene frainteso come inferiorità e malignità.
Hillman non vuole consegnare il materiale inconscio nelle mani della così detta consapevolezza dell’Io, piuttosto desidera portare l’Individuo a confrontarsi con ciò che egli ha preteso di poter dimenticare.