Ciò che in genere chiamiamo “pensiero” è un processo di memoria.
È una proiezione costruita su ciò che già si conosce.
Tutto ciò che esiste, tutto ciò che è percepito, per la mente è una rappresentazione.
Il pensiero progressivo, il pensiero razionale o scientifico, comincia quindi identificandosi con una parte, una rappresentazione.
Tale pensiero parziale nasce dall’idea condizionata di essere entità indipendenti, “sé”, “persone”.
La nozione di essere un qualcuno condiziona ogni altro pensiero perché la persona può solo esistere nella ripetizione della rappresentazione.
Il cervello qui tende alla rappresentazione costante. La memoria è l’originatrice dell’idea di essere un’entità continua.
In ultima analisi, il pensiero è una difesa contro la morte dell’ego.
Chi sei tu quando non pensi?
Quando distogli lo sguardo dell’attività del pensiero, dove sei?
In sostanza, il pensiero è una fuga dalla tua totalità, dove non c’è un individuo separato che pensa.
[…]
Nel considerarci entità separate, abbiamo dimenticato la nostra essenza e ci siamo identificati con un’idea, con una proiezione dell’individualità.
Non sono le infinite espressioni di silenzio a essere il problema o a causare complicazioni, ma il nostro oblio della fonte originaria di tutte le espressioni. Questa separazione della nostra vera natura ci porta un falso vivere. Non permettiamo all’espressione di dissolversi ma la cristallizziamo e poi ci identifichiamo con – o ci perdiamo – in essa.
Tramite questa oggettivazione, si è ciò che definiamo “il mondo”.
Confondiamo l’esistenza con la vita stessa.
Ma la vita non ha principio né fine.
Il vero vivere giocare, è gioia senza un oggetto.
– Jean Klein, Chi sono io? La ricerca più sacra –