Realizzare che è impossibile muoversi verso il Sé, significa realizzare il Sé. Questa è l’ultima verità.
Se il tuo problema è ottenere l’illuminazione, allora l’illuminazione è il tuo problema.
Se già dove dovresti essere, invece speri di arrivarci.
Non hai via d’uscita da una situazione del genere. Non ti invidio.
Questa condizione è in realtà ottima, proprio perché l’intuizione istantanea avviene in corrispondenza di una situazione senza speranza (un’aporia*)
* n.d.r. situazione che non ha via d’uscita
Finché speri di riuscire a illuminarti, finché hai ancora speranza, significa che non riesci a stare fermo nel qui-e-ora.
La tua ansia ti impedisce di stare qui. Dal momento che l’illuminazione si trova solo qui e in nessun altro punto dello spazio e del tempo, la speranza in verità ti sta distraendo dall’illuminazione.
A ogni istante fuggi dalla tua libertà. Anziché fuggire dalla prigione, tu impieghi il tuo tempo per fuggire dalla libertà.
Il concetto di prigionia può diventare fuorviante perché parte dal presupposto che sei in una prigione senza sbarre e devi evadere.
La metafora della prigione psichica in cui l’essere umano si troverebbe, l’ho utilizzata spesso anch’io, in quanto sotto un certo aspetto è esatta.
Ma essa assume due significati a seconda del livello di coscienza di chi l’ascolta.
In una prima fase, in effetti, è giusto che tu ti senta prigioniero della realtà olografica proiettata all’esterno della tua mente e che tu ti impegni per liberarti ed entrare in un altro stato di coscienza. Questo atteggiamento è utile, anche per molti anni.
Ma poi, nella fase successiva, realizzi che non sei prigioniero, che tutto è fatto di essere, di coscienza pura, di libertà, e la prigione consiste unicamente nel non realizzare immediatamente che sei già libero adesso.
La prigionia è sempre autoimposta e riguarda una cecità di fondo, un difetto della vista: non vedi la libertà onnipresente, perché sei troppo impegnato a cercarla.
Non presti attenzione alla libertà, allora la cerchi ed essa ti sfugge ad ogni istante, perché la cerchi nel posto sbagliato: non-qui.
Il lavoro a cui il discepolo è chiamato riguarda quindi non la ricerca dell’illuminazione, bensì una ferma concentrazione sul luogo esatto dove l’illuminazione è disponibile subito, in maniera completa e gratuitamente: qui.
Non è un lavoro di conquista, ma di attesa.
Come qualcuno che attende un amico un appuntamento. Se si sposta, si allontana da luogo concordato per l’appuntamento, quindi gli conviene stare fermo e aspettare con pazienza. Poi, a un certo punto si rende conto che l’amico era già lì, era arrivato prima di lui, anzi, era sempre stato lì, perché in realtà abitava lì, ma lui non lo vedeva perché era distratto, continuava cioè a scrutare l’orizzonte in attesa di scorgere in lontananza la figura dell’amico. Ma come poteva vederlo arrivare, se lui stava già lì, alle sue spalle?
Pur essendo vero che è sufficiente aspettare, lo si deve però fare in maniera concentrata, senza farsi distrarre dai propri pensieri dalle proprie fantasticherie e senza guardare nella direzione sbagliata. Quando uno decide di cercare l’amico – il Sé – la prima fase consiste proprio nel concentrarsi in maniera esclusiva sulla ricerca. In questo modo si abitua a non perdere più tempo con i pensieri, le emozioni e le fantasticherie.
Nella prima fase ci si sforza di restare svegli per sfruttare l’orizzonte senza le distrazioni della mente.
Dopo un certo periodo – variabile per ciascuno – di questa pratica concentrata (dove di norma si utilizzano le tecniche di meditazione), allora si è pronti per cercare nel luogo stesso dell’appuntamento, dimorando in se stessi, fino a realizzare l’impossibile: l’amico che aspettavamo eravamo noi stessi che lo stavamo aspettando.
Non c’è mai stata un amico, perché l’appuntamento era con noi stessi.
L’appuntamento più bello che si possa prendere.
Salvatore Brizzi, Come la pioggia prima di cadere – appunti di non dualità