Preferir coraggiosa morte a vita imbelle

Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), è stato un filosofo, scrittore e monaco cristiano italiano appartenente all’ordine domenicano.

Fu condannato al rogo dall’Inquisizione della Chiesa cattolica perché “eretico, impenitente, pertinace” ed anche i suoi scritti, posti all’indice dei libri proibiti, vennero dati alle fiamme. Fu arso vivo a piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600, durante il pontificato di Clemente VIII. Ma la sua filosofia sopravvisse alla sua morte, portò all’abbattimento delle barriere tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero Bruno è quindi ritenuto un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverso; per la sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. “Figlio del Vesuvio e della collina di Cicala, filosofo e poeta italiano, unico spirito veramente libero», lo definisce Cyrano de Bergerac.

A seguito presento una raccolta delle frasi e citazioni più belle e famose di Giordano Bruno

[Di Fabrizio Caramagna – 28 Giugno 2018]

 

Per quanto riguarda l’anima, Bruno mantiene il tema della sua immortalità, cancellandone però l’individualità.
Non esiste un’anima individuale che viene giudicata in base alla condotta.
Ogni anima è inserita all’interno del ciclo infinito della metempsicosi, dunque l’anima dell’uomo può mutare nell’anima della bestia e viceversa.
Nell’infinito ciclo della metempsicosi, nel processo che prevede il passaggio da individuo a bestia, l’uomo ha una responsabilità, la responsabilità meritoria.

In poche parole, se viviamo con merito la nostra anima riassumerà la forma umana, se, al contrario, viviamo in modo bestiale la nostra anima assumerà la forma animale.

La metempsicosi è un punto essenziale della filosofia di Bruno, ed è quello che più di ogni altro susciterà le ire di Bellarmino, cardinale e teologo che rivestirà un ruolo primario nel lungo e duro processo romano del filosofo che si concluderà con la condanna a morte per rogo, eseguita il 17 febbraio 1600 a Campo de’ Fiori.

[Pubblicato il febbraio 17, 2017 di Pagine sparse]

D’ogni legge nemico e di ogni fede.
La libertà di pensiero è più forte della tracotanza del potere.
Ho lottato, è molto; ho creduto nella mia vittoria. È già qualcosa essere arrivati fin qui. Non aver temuto di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita imbelle.
Il servilismo è corruzione contraria alla libertà e dignità umana.
Più nun sanno e sono imbevuti di false informazioni più pensano di sapere.
Bisogna superare l’abitudine di credere, impedimento massimo alla conoscenza.
Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.
Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.
Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto.
Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo.

Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo.
Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose.
È prova di una mente semplice e molto primitiva che uno desideri di pensare come le masse o la maggioranza, semplicemente perché la maggioranza è maggioranza. La verità non cambia perché è, o non è, creduta dalla maggioranza delle persone.
Cara Ricchezza, sei da scacciare via quando amministri alla violenza, quando resisti a la giustizia (…) e non sei quella, che dai fine a’ fastidi e miserie, ma che le muti e cangi in altra specie.
La sapienza ha dunque tre dimore: la prima inedificata, eterna, perché è essa stessa la sede dell’eternità; la seconda, sua primogenita, è questo mondo visibile; la terza, sua secondogenita, è l’anima dell’uomo.
L’eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell’alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a perfezione in cose men nobili e basse.
Io credo che nelle mie opere si troveranno scritte molte cose, quali saranno contrarie alla fede catolica […] ma però io non ho detto né scritto queste cose ex professo, né per impugnar direttamente la fede catolica, ma fondandomi solamente nelle raggioni filosofiche o recitando le opinion de eretici.
Meglio è una degna ed eroica morte, che un indegno e vil trionfo.

In viva morte morta vita vivo!

Per quanto riguarda l’anima, Bruno mantiene il tema della sua immortalità, cancellandone però l’individualità.
Non esiste un’anima individuale che viene giudicata in base alla condotta.
Ogni anima è inserita all’interno del ciclo infinito della metempsicosi, dunque l’anima dell’uomo può mutare nell’anima della bestia e viceversa.
Nell’infinito ciclo della metempsicosi, nel processo che prevede il passaggio da individuo a bestia, l’uomo ha una responsabilità, la responsabilità meritoria.
In poche parole, se viviamo con merito la nostra anima riassumerà la forma umana, se, al contrario, viviamo in modo bestiale la nostra anima assumerà la forma animale.

La metempsicosi è un punto essenziale della filosofia di Bruno, ed è quello che più di ogni altro susciterà le ire di Bellarmino, cardinale e teologo che rivestirà un ruolo primario nel lungo e duro processo romano del filosofo che si concluderà con la condanna a morte per rogo, eseguita il 17 febbraio 1600 a Campo de’ Fiori. Esattamente 417 anni fa.

[Pubblicato il febbraio 17, 2017 di Pagine sparse]

Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam.
Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla
(Frase che Giordano Bruno pronunciò, costretto in ginocchio, dopo aver ascoltata la sentenza di condanna l’8 febbraio del 1600, prima che gli fosse chiusa la lingua in una morsa per evitargli di parlare ulteriormente)
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