Un fatto fondamentale di cui ci dobbiamo rendere chiaramente conto è che decidere molto spesso significa scegliere; deve cioè essere fatta una selezione tra varie possibilità.
Ma scegliere significa preferire; e preferire una cosa, un’azione, una strada, richiede necessariamente che vengono scartate o eliminate le altre, e cioè che si rinunci ad esse.
Cioè è ovvio, o dovrebbe esserlo, e quindi facile da accettarsi. Eppure in pratica provoca una forte resistenza e riluttanza, spesso anche una violenta ribellione.
Le stesse parole rinuncia e sacrificio* suscitano un’intensa avversione. Varie sono le cause all’origine di queste reazioni:
1. L’edonismo, e cioè il desiderio fondamentale per piacere desiderio di evitare la sofferenza, che sono innati nella natura umana.
2. L’enfasi esagerata messa in passato sul dovere sul sacrificio, e l’eccessiva insistenza sul valore della sofferenza, spesso per ragioni sbagliate o inutili.
3. Una concezione errata della libertà, che è stata interpretata come il diritto di seguire ogni impulso e di soddisfare ogni desiderio senza curarsi delle conseguenze per noi stessi e per gli altri, con una completa mancanza di controllo o di senso della responsabilità.
Da tutto questo viene il rifiuto più o meno cosciente di scegliere quando una scelta è chiaramente necessaria.
[…]
Scegliere è preferire e implica dunque rinunciare alle alternative, eliminarle.
È importante anche realizzare che, se vogliamo raggiungere una meta a cui attribuiamo un valore, dobbiamo volere anche i mezzi per raggiungerla, per sgradevole dolorosi che possono essere.
* È interessante e chiarificatore comprendere che invece di significare un doloroso ascetismo autoimposto, la parola sacrificio significa “rendere santo” , “rendere sacro” (sacrum facere).
– Roberto Assagioli, L’atto di volontà –