Wu Wei: l’arte di non fare
Da un articolo di Chip Richards apparso su Uplift con il titolo di “Wu wei: the ancient art of non-doing” – libera traduzione in italiano di Claudia Panìco.
L’attuale transito (Sole nella Porta 45) ci ricorda che la manifestazione nella materia è radicata nell’egoismo.
PRIMA IO
Dobbiamo sfatare l’assoluta negatività che è stata attribuita all’egoismo e riconoscere la fondamentale importanza del sano egoismo come unico modo per supportare i propri bisogni e – di conseguenza – i bisogni dell’altro.
PRIMA IO
Se no ho non posso dare.
Se non faccio il mio interesse come faccio a dare all’altro? Cosa do? Da che spazio?
PRIMA IO
Posso essere d’aiuto solo in quanto me stesso.
Se sono continuamente sbilanciato sull’altro come faccio a dare il mio autentico contributo?
PRIMA IO
Se sto su di me non tolgo nulla all’altro. Anzi. Solo così posso dare il mio meglio.
Se non rispetto me stesso come posso rispettare l’altro?
PRIMA IO
Se sono in pace con me stesso sono in pace con l’altro.
Se mi sforzo di essere in pace con l’altro sono in guerra con me stesso e, di conseguenza, con l’altro.
La mia attenzione è prima su di me o sull’altro?
PRIMA IO
PER ME = PER TE!
Salve a tutti,
sulla base di alcune vostre perplessità e riflessioni (che ringrazio!) mi rendo conto che il messaggio qui sopra originariamente pubblicato sul gruppo Telegram possa essere difficilmente compreso e facilmente frainteso da qualcuno. Ci sta.
Avevo iniziato a scrivere una risposta sul gruppo ma poi ho sentito opportuno scrivere un articolo qui sul sito.
Come avevo annunciato siamo stati talmente indottrinati nei secoli a giudicare l’egoismo solo come qualcosa di negativo da rendere difficile, se non impossibile, vedere nell’essere egoista (sano egoismo) una via alla propria auto-realizzazione. Come di fatto è.
L’egoismo, in genere interpretato come moralmente sbagliato, è inteso come un fare qualcosa a scapito dell’altro (contro) per proprio esclusivo interesse personale. Il pensiero comune è “se mi occupo di me non posso occuparmi dell’altro; se io penso a me escludo l’altro; se io mi arricchisco vuol dire che impoverisco l’altro; in pratica… o io o l’altro”.
Ciò appare logico alla morale ma non è detto che sia vero. Anzi.
La formula mentale separativa funziona tramite l’ “o… o” (out-out) e ciò rende difficile contemplare la – possibile e naturale – formula integrativa “e… e” (et-et).
Che è la naturale e semplice (bio)logica dell’Amore.
C’è da fermarci (fermare l’identificazione con la mente) e chiederci:
In che modo se faccio coscientemente, responsabilmente qualcosa PER me, ciò può essere a discapito dell’altro?
In che modo se amo me stesso e decido in base al mio sentire, posso negare qualcosa a qualcuno o interferire nella sua vita?
Pensare a me stesso, riconoscere e occuparmi innanzitutto dei miei bisogni è sbagliato? Danneggia qualcuno?
Posso occuparmi di me e dei miei bisogni e nello stesso tempo provvedere ai bisogni dell’altro? È possibile? O devo per forza sopraffare l’altro o rinunciare a qualcosa?
E se rinuncio a qualcosa è perché “devo” o perché “voglio”?
Questo è un punto cruciale. Comprendere la differenza tra “dovere” e “volere/sentire”; “si deve fare” e “mi va di farlo”; “per forza” e “perché così sento, così mi va”.
A mio avviso, tanto è frainteso il concetto di egoismo, così è frainteso il concetto di amore.
Pare che essere egoisti vada in contrasto con l’amore. Ma è davvero così?
Come mai amare – nel pensiero comune – significa imporsi qualcosa, rinunciare/compromettermi per l’altro?
Davvero per amore devo per forza compromettermi, rinunciare, sacrificarmi, negarmi qualcosa?
Davvero se sono egoista per affermarmi devo per forza agire a discapito dell’altro?
In natura, dalla cellula, alla pianta, all’animale, al pianeta, ogni elemento sta su di sé e nel farlo contribuisce al bene comune.
Come mai così non può essere così anche per l’uomo?
La natura non contempla la separazione. Perché l’essere umano sì?
Che sia proprio in questa indagine il segreto del libero arbitrio e il conseguente possibile sviluppo della consapevolezza individuale e sistemica?
Nella pratica forse c’è da indagare come si interpreta l’egoismo e il senso di “saper stare su di sé”, rispettare i propri bisogni; il senso profondo di cosa significa sacrificio e cosa significa amore.
Forse c’è da chiederci se ci sia qualcosa che interferisce nella relazione tra l’uomo e la sua natura e portare lì la nostra massima attenzione.
E, forse, c’è da riconoscere le nostre resistenze interne ad appagare i nostri bisogni e chiederci come mai la cosa più naturale del mondo (stare su di noi) risulti essere così difficile e, a tratti, “minacciosa”?
Il mondo è disarmonico perché non pensiamo abbastanza all’altro o perché non siamo in grado di pensare sufficientemente a noi stessi?
Tutto funziona se noi ci occupiamo del giardino dell’altro (a nostro modo) o del nostro (a nostro modo)?
Tornando alla mondanità…
Come mai sono convinto che se mi rispetto non rispetto l’altro? Che se sto su di me qualcuno ne può risentire?
Dov’è radicata in me questa convinzione? Nell’Amore? O nella Colpa?
Se sacrificarsi (sacrum-facere) è in origine qualcosa si sacro, di divino, un atto d’amore… dove sta il sacro, il divino, l’amore nell’imporsi qualcosa, nel dover rinunciare a qualcosa? Il sacro, il divino, l’amore sta in qualcosa che ci dobbiamo imporre e sforzarci di fare che va contro la nostra natura o in qualcosa che è naturale e su cui siamo chiamati a portare consapevolezza? L’egoismo è sbagliato di per sé o il punto sta che – di norma – non si agisce consapevolmente?
Anche se so che ancora i fraintendimenti possono scaturire nonostante queste domande perché certe convinzioni sono davvero dure a morire (trasformarsi) preferisco limitarmi a queste domande e lasciare ad ognuno le proprie riflessioni.
Ricordando di non credere a niente di quello che dico e si dice ma di sperimentare sulla propria pelle… con perseverante ascolto interiore.
Ad ogni modo, visto che la mente cerca sempre di confutare la possibilità di un sano egoismo portando gli esempi dei genitori nei confronti dei figli o di sé nei confronti del proprio partner… mi viene da chiedere: siamo così sicuri che i genitori quello che fanno per i figli sia esclusivamente e totalmente un atto di amore per i figli? Può essere che questo atto d’amore sia di fondo un movimento di amore a sé stessi, lo si faccia per sé (consciamente o inconsciamente)? Siamo proprio certi che dietro ad alcuni ammirevoli atti di amore e sacrifici per i figli non ci siano, di fondo, delle convinzioni, delle paure, dei modi di affermare se stessi?
Siamo così sicuri che per amore del nostro partner dobbiamo rinunciare a quello che ci piace? È per noi uno sforzo e un dovere fare in modo che tutto sia sempre in armonia col partner? Siamo sicuri che devo rinunciare a qualcosa per il partner? E se di rinuncia si tratta è qualcosa che mi pesa e mi faccio andare bene o è qualcosa che permette di confrontarmi con i miei limiti e mi stimola a riconoscerli e superarli? La relazione è potenziante solo quando si è in armonia o anche quando ci sono disarmonie, disaccordi, confronti?
Se faccio qualcosa per me, perché lo sento importante per me e all’altro non va bene… cosa c’è di “male”?
Se non mi va di vedere il film che vuole vedere il mio partner; se non mi va di andare a trovare un parente in ospedale; se non mi va di cucinare per qualcuno; se non mi sento di accompagnare qualcuno da qualche parte; se non mi va di partecipare a quella festa o di fare quel regalo o di fare quegli auguri o quel viaggio insieme o di rispondere a quel messaggio… che problema c’è? Mi devo sentire egoista e in quanto tale sbagliato? Inadeguato in amore? Indegno dell’amicizia dell’altro? Mancante di qualcosa?
Qual è il problema ad ascoltarmi e manifestare la mia verità? A chi può infastidire o nuocere la mia verità?
Posso davvero amare qualcuno imponendomi di fare qualcosa che non mi va? Sto dando all’altro il meglio di me, la mia autenticità sforzandomi di essere e fare qualcosa che non mi corrisponde in quel momento? Se mi impongo di fare qualcosa o pretendo che l’altro faccia se io ho fatto qualcosa per lui… posso chiamare questo “amore”, sacrum-facere, egoismo?
Come funziona?
Sono egoista se penso a me e non lo sono se mi sforzo di essere altro rispetto a quello che sono?
Sono egoista se penso a me e non lo sono invece se sono accondiscendente, accomodante, compiacente con l’altro?
Se sto su di me impongo anche all’altro di non stare su di sé?
Davvero sono convinto che se dico e faccio quello che – davvero – sento, il mondo vada a rotoli?
Certo c’è chiaramente da sentire e, di conseguenza, avere chiara la differenza tra sentire e credere di sentire.
Magari il punto sta proprio qui. La difficoltà di sentire, di saper ascoltare la propria verità, i propri bisogni. Unita alla difficoltà di confrontarci con l’altro e accogliere un rifiuto, una indisponibilità, una mancata aspettativa, la paura del dolore, della solitudine.
La subdola convinzione che se sono egoista sono rifiutato e abbandonato. La credenza che se sono egoista sono destinato a far soffrire e rimanere solo.
Ma questo è un fatto o una percezione del fatto?
È davvero sbagliato essere egoista o è una convinzione instillata nella mia mente dall’esterno che me lo fa credere?
Chi trae davvero vantaggio al fatto che io non stia su di me ad appagare i miei bisogni? Il sé o il non sé?
Può qualcuno trarre vero vantaggio dalla mia ipocrisia a tradirmi e ad auto-convincermi di farlo per amore dell’altro?
Di nuovo… non mi metto a stabilire cos’è bene o male, cos’è amore o no, sacrificio o no, egoismo o no ma… confido queste domande portino personali riflessioni.
Buon proseguimento… nell’unico modo possibile: in amore a se stessi e, di conseguenza, PER l’altro.
Individualmente Insieme.
Ps. il vero egoista, quello che davvero separa e non lavora per l’unione è quello che non pensa a sé e sta sempre sull’altro e invece che agire in armonia a quello che sente… si sforza di agire per mantenere l’armonia con l’altro. Questa non è integrità ma ipocrisia.
EGO significa “io”: come posso, incarnato nella materia, fare qualcosa per qualcuno se non partendo dall’Io = quello che sono, nei miei stessi limiti?
Come faccio a trascendere l’io se neanche mi concedo di sperimentarlo?
Come faccio a trascendere l’io se mi giudico così pesantemente ogni volta che sto nel mio “Io”?
Come faccio a trascendere l’io se giudico così pesantemente l’altro ogni volta che sta nel suo “Io”?
Da un articolo di Chip Richards apparso su Uplift con il titolo di “Wu wei: the ancient art of non-doing” – libera traduzione in italiano di Claudia Panìco.
Brani tratti dal libro Il Potere di Adesso di Eckart Tolle. Domande a cui segue una sua risposta. Che cos’è il potere di Adesso? Niente nient’altro che la potenza della vostra presenza, la vostra consapevolezza liberata dalle forme di pensiero. Per cui dovete affrontare il passato a livello del presente. Più attenzione rivolgete al passato, […]
Il lavoro spirituale è un’impresa a lungo termine, e di sicuro non otterrete velocemente grandi risultati; ma l’essenziale è lavorare, dopo di che, pazientate!… anche se questa è la cosa più difficile. Sono rari coloro che sanno attendere. Quante volte pazientare è considerata una perdita di tempo! È vero che nei negozi, nelle amministrazioni, dal […]
Quando poniamo molta fiducia o aspettative in una persona, il rischio di una delusione è grande. Le persone non esistono in questo mondo per soddisfare le nostre aspettative così come noi non siamo qui per soddisfare le loro. Dobbiamo bastare… dobbiamo bastare a noi stessi sempre, e quando vogliamo stare con qualcuno dobbiamo essere coscienti […]
clicca qui e controlla in spam e promozioni.
22/24 novembre LIVING YOUR DESIGN
il primo corso di base di Human Design
- in presenza a Padova e online -
clicca qui per le informazioni